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TWISTER Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 settembre 1996
 
di Jan de Bont, con Bill Paxton, Helen Hunt (Stati Uniti, 1996)
 
Anche se, come Mario Gianetti, è arrivato soltanto secondo (240 milioni di dollari, contro 280 di INDEPENDENCE DAY...), una volta tanto potete esultare: questo è il migliore di quelli che la pubblicità annuncia, con regolarità cronometrica, come il colosso cinematografico più atteso dell'anno.

Beninteso, a qualche condizione: a) che vi piacciano i film d'azione; b) che sopportiate i cosiddetti film-catastrofe; c) che non siate allergici agli effetti speciali; d) che riusciate a sopportare quegli intervalli di cretinismo psico-sentimentale con il quale pare sia indispensabile condire, in questo genere di cose, gli intervalli fra una sensazione e l'altra.

Non è poco. Ma - a parte qualche caso, ahimè sempre più raro - una creazione collettiva in coabitazione artistico- industriale com'è quella cinematografica, è fatta di questo genere di compromessi: cosi che raramente l'accostamento dei suoi vari elementi coincide con la somma degli stessi.

Una volta capaci di chiudere quell'occhio, apprezzerete l'idea. Che per i protagonisti di TWISTER è quella di catturare gli uragani, di afferrare per la coda le trombe d'aria. Storia di un'ossessione - quella di confondersi all'interno di uno dei fenomeni più scatenati della natura - che si fa professione: studiare l'evoluzione dei tifoni, per meglio prevenire e difendere la popolazione. Mentre per Jan de Bont, come già avevamo visto nell'ammirevole SPEED, l'idea è invece (ed in quel "invece" risiedono probabilmente i limiti del film) quella di tradurre tutto ciò in formidabile sinergia cinematografica.

Cosi, se per la coppia un po' svitata di meteorologi si tratta di toccare con mano l'occhio del ciclone, di raggiungere con una jeep sgangherata l'interno di un tornado che avanza a trecento all'ora spazzando la superficie dell'Oklahoma, d'infilarvi dentro un aggeggio artigianale che dia modo ai computer di studiare l'anima di quei mostri, per l'olandese trapiantato ad Hollywood come direttore della fotografia di Verhoeven, Kubrick e Ridley Scott, il tutto sta nel tradurre in astrazione pura - ma in evidentissima, palpabile materia fotografica - quell'inarrestabile fuga in avanti.

TWISTER diventa allora azione, dinamica pura. Innescata per non poter più essere frenata. Basta concentrarsi sul montaggio, o sull'uso del sonoro del film: per accorgersi di come tutto concorra alla creazione di uno stato d'inarrestabile, terribilmente materiale ed al tempo stesso vieppiù fantastica, ludica attrazione. E se de Bont fa proiettare SHINING sullo schermo del drive-in che sta per essere distrutto dal ciclone, non è soltanto per il piacere dell'auto-citazione (fu sua la fotografia di quel film). Ma perché nel cinema dell'olandese, proprio come in quello del maestro, è lo spazio, la dinamica del film a farsi immagine di una dimensione mentale. Delle sue aspirazioni, contraddizioni e perversioni.

Certo, nel film è ben presente l'impronta di qualcuno che si cela dietro l'anonimato della produzione. E, non a caso, l'uragano ruggisce come lo squalo di spielberghiana memoria; o la minaccia del turbine nero, che affiora tremendamente umano dietro il profilo della collina, ricorda quella dell'autocarro implacabile di DUEL. Ma, se appare ormai come una scrittura originale nel mondo sempre più ripetitivo del cinema spettacolare, è perché quella di de Bont sviluppa ulteriormente l'idea di Spielberg: quella dell'eroe-fanciullo, con la sua fede nel Meraviglioso che gli permette di trasformare le avventure, le rincorse sfrenate in itinerari iniziatici.

Nel cinema di Jan de Bont è la dinamica stessa - e non più il personaggio - a farsi motore di una ormai impossibile identificazione. Per trasformarla in un inarrestabile (come la corsa dell'autobus di SPEED, come l'insensato, improbabile avvicinamento agli uragani di TWISTER) coinvolgimento. L'uso splendido degli effetti speciali, l'applicazione degli artifizi che oggi permettono qualsiasi risultato espressivo è magnificato dal fatto che il regista olandese non li esaurisce in un contesto artificioso ed irreale: ma, al contrario, li applica su una realtà che ci è famigliare, quotidiana. Le peripezie urbane dell'autobus di SPEED e, ancor più quelle nei grandi spazi di TWISTER rappresentano allora una tela di fondo squisitamente naturale: sulla quale vengono a sovrapporsi - con fascino contrappuntistico inedito ed amplificato - i trucchi magistrali dell'autore.

Sempre più, la dinamica implacabile dei due film sembra tradurre, con voluttà più che con angoscia, l'ineluttabile rincorsa sulla quale si organizza la nostra epoca.


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